Freeport, Grand Bahama Island. Spiagge bianche, mare cristallino ricco di fauna, cielo azzurro e temperatura piacevole, non troppo calda né troppo umida: questo sulla carta. Venti a 180 km orari, alberi sradicati, tetti divelti e barche affondate (tra cui la nostra): questo ciò che abbiamo trovato ad attendere la più sfortunata spedizione della Shark Academy che si ricordi. Come accade quattro o cinque volte all’anno la Shark Academy, di cui faccio parte, organizza spedizioni in tutto il mondo per far visita in modo più o meno mirato a qualche specie di squalo. Anche questa volta le intenzioni erano buone: dieci – dodici immersioni di cui almeno la metà tra gli squali grigi dei Caraibi che avremmo dovuto marcare con targhette identificative (TAG) di nuova concezione. A pochi giorni dalla partenza, nubi minacciose si addensano sui Caraibi proiettando la loro ombra sulle – fino a quel punto – ottime possibilità di successo della spedizione. Wilma, l’uragano preistorico, prende forma attestandosi in breve su una modesta intensità 5 (su una scala che va da 1 a 5). Non ci resta che sperare che le decine di esperti che si occupano di tracciare gli uragani e di prevederne la relativa rotta si siano bevuti il cervello, ostinandosi a volerlo veder passare da Miami, per poi investire con precisione millimetrica proprio Freeport. Ma queste sono considerazioni marginali per chi, come noi, da mesi aspetta con ansia di infilarsi di nuovo la tre millimetri. All’arrivo a Freeport mi attende un caldo afoso in perfetto stile jungla amazzonica che poi mi diranno essere dovuto all’imminente arrivo di Wilma (di nuovo lei!). La prima e la seconda immersione, Wilma o non Wilma, riusciamo a farle senza problemi. Visibilità ottima (al punto da avere un riverbero fastidioso dovuto alla luce del sole che si specchia sul fondale di sabbia bianca), acqua a 30°C (praticamente un brodo), un paio di femmine di perezi che ci nuotano intorno incuriosite, cernie, carangidi e una remora che ci gira intorno con la sua aria ebete per cercare di capire se valga la pena attaccarsi ad uno di noi o meno. Decidiamo di immergerci anche nel pomeriggio, destinazione: Shark Alley, ma non abbiamo tenuto in considerazione che le code dell’uragano cominciano a dare i primi problemi e si prevede burrasca in arrivo intorno alle 14. Alle 17 il mare è piatto, di burrasca neanche l’ombra, ma definirci di buon umore sarebbe quantomeno azzardato. La serata è divertente, considerando che nell’attesa dell’arrivo dell’uragano molti si preoccupano di far provviste grazie alle quali sopravvivere nelle 10 ore che dovranno trascorrere chiusi in camera, sfuggendo alle ire di Wilma. Il record di provviste messe da parte lo detiene una famiglia di Livornesi, usciti dal buffet con una pila di piatti di carta contenenti cosce di pollo, pasta al forno e quant’altro, sufficiente per una seconda campagna di Russia. Curiosamente, quasi tutti si preoccupano di stoccare tonnellate di cibo, ma nessuno di far scorta d’acqua. Ridiamo immaginandoli arsi dalla sete a leccare i vetri bagnati dall’uragano dopo aver mangiato pollo speziato e padellate di patate fritte. La notte scorre tranquilla se non per una leggera brezzolina che, verso le 5 del mattino, si alza producendo un rumore simile a quello di un F104 al decollo. Capiamo che, forse, ci siamo. Verso le dodici, il vento è fortissimo e siamo rimasti senza telefono, luce ed acqua. Verso le 15 cominciano a volare le tegole e qualche albero comincia ad andare giù sotto la forza del vento. Alle 16 circa, Wilma arriva e ce ne accorgiamo. I lampioni del campo da tennis davanti a camera nostra vacillano, i vetri della palestra saltano, rumori sinistri arrivano dal tetto e tegole, rami, noci di cocco, sedie e quant’altro volano ovunque. Nel momento di massima intensità la situazione è piuttosto impressionante ed è amplificata dal fatto che non sappiamo se continuerà a peggiorare o meno. Verso le 17 il vento inizia a diminuire di intensità, volano meno oggetti e smette di piovere quasi del tutto. Tentiamo una sortita e diamo un’occhiata in giro. Alcune stanze sono letteralmente allagate, ma le facce sono rilassate… nessuno si è fatto male, almeno. A coprifuoco terminato usciamo a fare una stima dei danni. Un tetto di un’unità abitativa del villaggio è sparito chissà dove, le saracinesche di metallo che tenevano chiuso il chiosco degli hamburger (sigh!) sono state strappate via. Tegole, ventilatori da soffitto e pezzi di tetto sono sparsi dappertutto, i simpatici ombrelloni in legno ancorati al terreno da una base di cemento sono sparsi ovunque, molte delle piante del villaggio sono state sradicate o danneggiate e molte recinzioni sono sparite, trasportate chissà dove. Ma quel che è peggio (e questo lo sapremo il giorno dopo) Wilma ha fatto visita al diving, allagando la sala compressori, portandosi via qualche bombola e, già che c’era, rovesciando e affondando la nostra barca. Miracolosamente riusciamo ad accordarci con diving Xanadou che ci porterà in immersione a Shark Alley un paio di giorni dopo. La visibilità è quel che è, c’è corrente, la temperatura dell’acqua si è abbassata, ma gli squali ci sono: alleluia. Sono una decina di Carcharhinus perezi di lunghezza variabile tra i 2 e i 3 m. Purtroppo la sospensione non consente di fare foto di qualità e allora tanto vale godersi lo spettacolo, cosa che facciamo con piacere. Inginocchiati su un fondale sabbioso sui quindici metri guardiamo gli squali girarci intorno incuriositi. I 45 minuti di immersione scorrono in un lampo ed è tempo di trovarsi alla cima dell’ancora per la sosta di sicurezza. Sulla barca (freddo a parte) le espressioni sono più distese: abbiamo visto gli squali in ogni immersione, ci abbiamo nuotato in mezzo per oltre mezz’ora, nessuno si è fatto male né con loro né con Wilma e, in fondo, siamo contenti così e cominciamo a fare progetti per il futuro. Prossima meta: il Sudafrica per immergerci con gli squali tigre a Durban e gli squali bianchi a Dyer Island, ma non ditelo a Wilma tanto per allora i posti saranno già tutti prenotati.
Scritto da: Fabrizio